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Ti voglio, mi disse. Non seppi opporre nulla, non mi domandai neppure perché ero lì, a farci cosa. Seppi solo sdraiarmi sul letto, le gambe penzoloni, l'impermeabile aperto che sgocciolava lucido d'acqua. Mi sollevò la gonna con un gesto crudele, sbottonò rapido i ganci del body, appoggiato con una mano sul seno mi premette dolorosamente mentre rapido con le dita dell'altra mano mi cercava. Mi montò furente, l'abito era nero e lucenti i suoi capelli bagnati, gli occhi sperduti in un'angoscia profonda; mentre sussultando mi invadeva, vidi il suo viso arrendersi al sorriso indefinito di chi si è imposto di vivere contro ogni avversità, riconoscendola e non disprezzandola. Riconobbi l'infinito sconosciuto che mi aveva violata sul ponte mentre l'acqua montava furiosa dal mare e frustava le cose dal cielo, e lo amai.
Uso spesso la parola violenza, eppure non so esattamente che cosa significhi, da quale parte del corpo nasce, dal cuore, dal fegato, dagli altri che ti assediano, dalle cose immonde che fanno attorno a te, o invece dallobbligo naturale a cui tutti siamo condannati, dover vivere in comunità accalcati assieme, asociali nel profondo. Talvolta mi fisso a pensare al destino di Ulisse. Si negò il canto delle sirene nel corpo ma non nellanima. Questo gli permise di vivere, è vero, ma per raggiungere cosa? Il sacrificio di non avere fino in fondo assaporato il canto e la morte insieme gli permise di tornare per uccidere, e credette con questo di avere dato la risposta che cercava al suo corpo, alla sua fisicità. Le corde lo rinserravano allalbero nel fluttuare delle onde; legato, desiderò soffrire mentre gridava che lo sciogliessero, i compagni inerti e ottusi erano la società che si meritava. Ma il suo cervello era ormai prigioniero delle urla strazianti dell'ignoto. Per questo cercò la morte alle colonne d'Ercole quando in realtà era già morto allora, tra le onda e le strida delle sue sirene. Che vale prolungare la vita quando hai già assaporato il senso della morte. Ho bisogno della mia sirena.