1965 Lehon Medlyn - Paolo Pennisi

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1965 Lehon Medlyn

Un solitario isolato nella folla
(di Lehon Medlyn, 1965)

A Venezia, Città tra le città, la scoperta vi sfiora continuamente, come una nuvola di giovani donne di cui si indovina l'incanto che le fascia e il mistero celato del loro sorriso perlato. E non è raro che la scoperta si accompagni alla sorpresa, e che assieme vadano quasi a non perdersi.
E al caso di un vagabondare, nella rete delle calli di Rialto, ardenti, vivaci, in cui i brusii si espandono come fossero piccioni, che io ho potuto conoscere e scoprire Pennisi.

Non tenterò di descriverlo egli è ciò che è, come è, con negli occhi motivo questo di stupore il distacco di un solitario isolato nella folla. Averlo incontrato si rivelò cosa piena di sorprese, in una sala d'atmosfera antica e rarefatta in cui 4 giovani artisti pieni di qualità si erano affiancati e più ancora avevano riunito lo schietto entusiasmo nel credere facile il poter staccare a loro profitto un piccolo pezzo della gloria di Carpaccio, del successo di un De Chirico, della curiosità mossa dai mostri sacri della Fondazione Guggenheim, ed ancora della esilarante «Fiera delle Chimere» di un «arte» che si veste di stanchezza e si mostra senza vergogna e senza convinzione.
E' necessario ancora aggiungere che la bella estate veneziana donava a questo giovane gruppo la certezza per non dubitare del proprio fascino e della propria efficacia?Le opere di Pennisi produssero immediatamente uno choc e mi convinsero ad andare nel suo studio.
La sua pittura attira per la novità e l'originalità e seduce per quel che contiene di insolito, lontana da ogni effetto facile.

E senza fretta che il nostro artista pensa all'opera, la medita in silenzio, prima di iniziarla in una serenità di lavoro paziente e faticato. Perciò nessuna sorpresa per la sua ridotta produzione. Per lui un quadro è un messaggio d'angoscia racchiuso in una bottiglia lasciata al mare. Egli teme, subito dopo che l'opera è stata compiuta, di non esserne più il padrone, e che essa per l'energia che rinserra in sé possa fuggire alla sua volontà di artista e, così libera, impegni le proprie forze di linguaggio nell'avventura degli uomini.
Le «Marine» di Pennisi nulla devono a Venezia, intendendo queste parole come un superamento della visione familiare, e per se stessa perciò convenzionale, di Venezia. E si trasformano in visioni personali, riflessioni di inquietudine e di ansietà, evocatrici di sensazioni assopite ed opprimenti. Nulla si muove. Il sole non esiste e vi è luce. Ed esse divengono il rifugio di un artista che ha bisogno di lasciare gli esseri che vivono e si aggirano nel suo mondo; quegli esseri strani, uomini e bimbi assieme, dal volto particolare, pieni di forte carattere, con i quali egli compie ancora una volta il doloroso cammino della Croce.

Possono sembrare rifiuti di una umanità nata dai Vangeli, il ricordo di un'arte scomparsa, di una civiltà distrutta, di un tempo finito. Siamo di Fronte ad una visione singolare, navigata tra sogno e immaginazione, penetrata da una pietà umana e vera. Così ogni composizione di Pennisi diviene un atto di Fede, ognuna di esse ha la sua risonanza, ognuna la sua suggestione, il suo racconto, il suo significato. Ed ognuna commuove per la sua profonda verità.Con le «Marine» solo tele ad ispirazione religiosa sono i soggetti dell'artista, unica attrattiva di un'arte che senza compromessi, per un istinto naturale, abbandona le strade battute, esponendo in questa maniera a minori pericoli una maturità che diverrà alla lunga sempre più efficace.
Pennisi non vuole fare un'altra rivoluzione nella pittura, né tantomeno gonfiare movimenti chiassosi, confusionari, in continua protesta. Di se stesso dà la purezza del suo istinto, la sincerità delle sue intenzioni, la verità delle sue idee.

La sua strada non può essere sospetta; è quella di un uomo austero e chiuso che bisogna seguire, passo a passo; che bisogna capire nel profondo della sua natura; che infine bisogna anche poiché egli non si conosce difendere dai sarcasmi che lo aspettano e dallo sdegno che sta in agguato.
Ricordate il suo nome che veramente parla di certezze; e che non vi siano incomprensioni e tirannie di chi guarda agitando solo teorie, di chi ancora si rifiuta di guardare senza spiegazioni, per costringerlo a nascondersi e a condannarsi al silenzio.
Io sono felice di stimarlo e non meno soddisfatto di offrirgli, a Parigi, l'appoggio di una galleria importante.
Ho fede che la bella città di Venezia, che lui ama quanto io l'amo, lo riconosca suo un giorno, e gli offra allora «tout au bout de la table», un piccolo posto tra quelli che essa onora....
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