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Rivedendo gli interventi del dibattito tenutosi a Sacca Fisola in occasione della presentazione dei murali dipinti nel quartiere, appare con immediatezza la ricchezza e, per taluni aspetti, la novità delle proposte e delle analisi compiute. Alcune di queste indicazioni sono senzaltro divergenti tra loro, ma a me pare rientrano tutte in un tuttuno organico, proprio e motivatamente, per la complessità e lapertura a ventaglio con cui si è svolto il confronto suggerito dalla iniziativa. Alcune osservazioni sono apparse legate più alla questione artistica, come quale possibilità di rapporti siano possibili tra operatore artistico e modi di espressione creativi ed inventivi da un lato e decorativi dallaltro; o ancora, quale sia la vera (la tentazione in molti era di dire, l'unica) motivazione di essenza del murale, se ideologica e politica, di agitazione, di conforto alle lotte sociali, oppure più «modernamente» decorativa, illusiva o immaginifica. A queste osservazioni se ne sono aggiunte altre altrettanto dialettiche: quale rapporto possa costruirsi tra artista e pubblico che, nel caso in questione, è un committente indiretto ma insieme fruitore diretto; quale interconnessione possa instaurarsi tra progettualità artistica, struttura urbana preesistente e la richiesta sempre emergente di riuscire a «condizionare» a priori da parte della gente il discorso visivo; quale dipendenza sia ipotizzabile per lartista inteso come «veicolo culturale» nei confronti delle necessità della società; quale possibilità di incidenza vi sia per lartista verso lambiente sociale, il segno urbano, e insieme verso il potere economico e politico, verso la «gestione» della città attuata da meccanismi istituzionali e convenzionali collaudati; quale parità infine sia possibile tra artisti, architetti ed urbanisti nel progettare una città, un quartiere. Questi i temi proposti, in un incalzare stimolante e per certi versi «emozionante» che ha dimostrato, in primo luogo, la validità della proposta fatta dalla Bevilacqua La Masa e, conseguentemente, la necessità di un dibattito su questa iniziativa, necessità e validità confermate da tutti gli interventi, anche e non è un paradosso dagli interventi critici (comunque motivati). Dicevo, interventi critici, pro¬prio perché è sempre emersa in tutti la volontà a capire, a chiarire non tanto lopportunità dell'niziativa quanto quello che appariva collateralmente, le necessità del quotidiano, il non capire il perché di certe negazioni e difficoltà del quartiere. Mi riferisco non tanto ad una lamentata assenza al dibattito di cittadini del quartiere quanto ad una incomprensione tra fenomeno artistico (e spesa economica relativa) e non risoluzione dei problemi contingenti come i muri umidi, le gronde cadenti, etc. Da questo dibattere tra cose darte e cose duso è emerso anche con forza come comunque una società civile e progressista, non «nazista» è stato detto provocatoriamente, deve sapere programmare cultura e bisogni insieme, non relegando la prima ai confini di attività marginale, ma rivendicandone pari dignità anche in sede programmatoria, ponendo assieme forze artistiche, culturali, sociali ed economiche, in cui il tema dellantico non sia incapsulato in schemi nevrotici di intoccabilità comunque e sempre, e il nuovo non sia visto come riserva di caccia per urbanisti, archittti, politici e speculatori a caccia di squallide periferie e anonimi quartieri popolari.
L'avere individuato il quartiere di Sacca Fisola come momento iniziale della nostra indagine appare, alla luce delle precedenti riflessioni, una scelta ulteriormente motivata che ci permette di dire come i problemi di questo quartiere (e di tutti i quartieri simili) sono nel come sono stati voluti politicamente, progettati senza confronto e senza apertura culturale, costruiti da determinate forze economiche speculative e che linserimento oggi dei murali ha permesso lemergere della questione che dal quartiere si è venuta così riversando sui modi di produrre una cultura della città, una qualità della vita realmente umana.
Con altrettanta franchezza è stata posta la questione del rapporto artista-città, e altrettanto vivaci stimoli ne sono derivati. Il concetto di colonialismo, adombrato interrogativamente e con vena polemica nella relazione introduttiva, ha avuto una risposta netta di rifiuto. Gli artisti che hanno operato a Sacca Fisola appartengono alla città, a tutta la città e dunque anche ai suoi quartieri. Il rapporto con la gente del quartiere vi è stato, nella fase più interessante e stimolante, quella della creazione del murale, con un colloquio continuo tra artisti e abitanti; e se la presenza dei cittadini al dibattito è stata tanto scarsa a confronto della ricca presenza di artisti e uomini di cultura, ciò lo si deve a quei meccanismi «naturali» che ciò che capisco mi è utile e ciò che non capisco non mi serve, meccanismo che scatta non solo nei confronti della cultura ma per ogni esigenza proiettata nel futuro, non quantificabile immediatamente e non fruibile subito individualmente o collettivamente.
Sentita è stata l'esigenza, riconosciuta e analizzata sia dagli artisti che dalla gente del quartiere, di un lavoro propositivo che precedesse lesecuzione dei murali, ne motivasse le scelte, i contenuti, la specificità, ne analizzasse laderenza o meno alla realtà ambientale e formale. Si è discusso sulla mancanza di una omogeneità nella scelta dei lavori, tale da proporre, ad esempio, possibili percorsi riscontrabili o assimilabili a quelli propri del Quartiere, con una progettualità delliniziativa più precisa a priori. È stato questo un errore o una scelta? È stato un limite preventivato o una scelta di scorciatoia, come è stato detto?
Credo si possa dire che ciò che è mancato è stato il confronto culturale tra il «pittore» e l'artista progettuale; e se il primo sostanzialmente si è ritrovato in un impegno anche imponente in alcuni murali, il progettuale non ha saputo trovare il «coraggio» né di proporsi sul piano delle idee, né di «sporcarsi le mani» con la pittura, né di contrapporsi criticamente.
Più complessa la questione artista-politica suggerita dal tema dell'arredo e del decoro urbano. La relazione dellAssessore alla Cultura ha posto con problematicità le interconnessioni esistenti tra forma estetica, attività commerciale e dimensione dellintervento politico, realtà diverse presenti in egual misura nel tessuto cittadino, ma con pesi differenti. Ciò che vorrei indicare con più vivacità è la non sufficienza di un ruolo dellartista che sappia solo preoccuparsi di creare il «bello», ma non sappia (o non voglia sapere) per chi e perché crea, di quale uso individuale e sociale verrà fatto (strumentalizzato) del suo lavoro. Si ripropone cioè il tema se l'artista debba preoccuparsi o meno di sapere se produce per una società democratica o meno, se debba porsi lo scrupolo di una sua colleganza (dipendenza culturale o morale?) ad ideali che vadano oltre l'arte in sé, i valori dell'estetica.