Segno colore progetto - Paolo Pennisi

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Segno colore progetto

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(estratto dal catalogo)

L'artista comunica il suo sentire e il suo operare confrontandosi con gli studenti del prof. Giuseppe Mazzariol del Dipartimento di Storia e Critica delle Arti all'università di Venezia
(introduzione del prof. Giuseppe Mazzariol)

Pennisi è sempre stato un artista molto presente alla mia curiosità, al mio interesse di critico perché è un artista che non ha battuto strade abituali, che è passato da una fase giovanile molto insistita sul racconto figurale, ad un'altra fase che oggi giunge alla maturità di espressione, al massimo controllo, che non è più strettamente figurale ma che non cessa di essere racconto, racconto morale, racconto politico, discorso che è fuori dagli schemi degli anni '50 di una certa corrente artistica che, al di fuori degli schemi linguistici del realismo, nell'attuale fase, Pennisi pare sussumere alcune delle problematiche rinnovate si ma che erano proprie di quegli anni.

Ora, a questo discorso, a questa sorta di pletoié morale e politico, caratterizza il suo fare di artista, e in qualche modo anche lo distanzia, lo isola dalla più parte degli artisti oggi e dall'attenzione della critica. In fondo, sia attraverso le sperimentazioni anche molto intelligenti intellettualmente avanzate dell'arte non figurale dopo l'informale, sia attraverso l'arte povera sia attraverso l'arte popolare, la pop art, sia attraverso le soluzioni ultime degli anni ottanta della transavanguardia, pur sempre negli ultimi 20 anni l'arte ha avuto il carattere nella sua grande maggioranza (almeno dal punto di vista statistico), ha avuto i caratteri di una grande illusione, di un grande divertissement, questo non toglie nulla al significato e al rilievo che ha avuto proprio questo ventennio grosso modo tra il '66 e il '68 nel contesto del secolo. Sono vent'anni in cui si sono prodotte opere importanti, si sono affermati artisti di rilievo, ma dire, se si potesse dare una indicazione in qualche modo espressiva e significativa di quanto è avvenuto si dovrebbe dire che non si è certamente delegato al far pittura, al far scultura ma allo stesso fare dell'architettura un tipo di impegno, tanto che la parola -tanto usata prima- di artista engagé non si sente più, è una parola che non ha corso. L'artista opera per sé, non ha bisogno di nessun particolare impegno, é il suo fare, e il risultato del suo fare -e quindi l'opera- è un'occasione in cui si riconosce una società che non ha più dinnanzi a sé grandi aspirazioni di carattere ideale né morale né politico. Questa può essere quindi una semplificazione un po grossolana, perché i casi che poi contraddicono questo giudizio sono molti, però in larga misura le cose stanno in questo modo.

Fa eccezione qualche personalità, ed ecco la ragione della mia attenzione per Pennisi; direi proprio che una di queste personalità è la sua, la sua presenza è una presenza in larga misura non gradevole. L'opera che presenta ci coinvolge sempre in una presa di posizione di un giudizio per ciò che avviene, per questo tempo in cui siamo, e questo lo realizza con mezzi linguistici che non sono assolutamente tradizionali e che sono propri di una determinata parte anche politica e di una determinata stagione storica, gli anni 50 in modo particolare. Quindi è una personalità che va esaminata, va conosciuta, perché credo ci aiuti anche a capire molto del tempo in cui viviamo e anche delle condizioni stesse operative artistiche dell'oggi...
Pennisi

Un momento di convenevoli, se me li concede, in quanto una esperienza di questo tipo credo per uno che è stato presentato come me, per un artista che non crede si debba chiudersi in uno studio per produrre degli oggetti invece tutto vale se esiste l'informazione culturale, l'aggiornamento attraverso la scuola e quindi il meccanismo della conoscenza di ciò che si va producendo e del meccanismo poi di chi invece dovrà recepire e trasmutare poi le cose, non è un convenevolo ritenere che questa iniziativa sia di grande valore.

Credo che come esperienza che ne possa derivare sia a chi produce l'oggetto ma anche a chi domani poi dovrà proporre alla società le cose che noi diciamo possa favorire gli uni e gli altri come si diceva prima mi sembra che ci siano grossi problemi, tanto per cambiare, per quello che sono le strutture per cui anche a voi non è dato di studiare in una maniera adeguata a seconda delle vostre necessità; quindi entriamo subito nel tema che ricordava il prof. Mazzariol cioè quanto il linguaggio artistico, in questo caso, ma potremo parlare anche credo del linguaggio musicale moderno, è realmente utile e necessario alla società.
Io non mi sento in qualche modo (come ricordava il prof. Mazzariol) un artista fuori tempo cioè non ho mai rinunciato a credere che esiste un contributo di chi ha l'intelligenza e la capacità e la sensibilità da esprimere deve dare alla società a cui appartiene, quindi la sola opera non basta ma è necessario anche avere l'esperienza che viene colta giorno per giorno da tutti gli altri. Non credo che in questa occasione, ad esempio, sia l'artista che viene a spiegare cose che voi non sapete, piuttosto mi interessa cogliere ciò che voi in senso più generale non come persone fisiche individuate una ad una ma come gruppo sociale che esprimete, come classe giovanile che viene a costruire la società del domani può darmi rispetto le esperienze che io poi porto sulla tavola sul pezzo di carta. Io sento molto questa mancanza di un'arte che sia utile: di un linguaggio, di un lavoro che viene fatto nello studio e che poi rimane per gli addetti ai lavori. Io credo che la più grande colpa della società di oggi sia proprio questa che si sia perduto quell'elemento sociale dell'arte per cui era necessaria, era utile. In sintesi oggi si dice che si è trasformato il settore di intervento, per cui esistono delle arti sociali tra cui la televisione, per esempio, o il linguaggio dei mass media in generale, indubbiamente è un nuovo linguaggio che non ha escluso quello vecchio anche se il temine nuovo e vecchio andrebbero sviscerati in un seminario di arte visiva perché qui si tratta di stabilire mi ricordo che una volta, quando eravamo giovani si discuteva su astratto e figurativo, oggi fa un po sorridere, ricordo feroci contrapposizioni di artisti e non ci rendeva conto che invece andavamo incontro ad una società che sommava tutte le forme espressive proprio perché diventava profondamente democratica e dialettica e invece andavamo ancora alla ricerca di quello che escludeva l'altro, è chiaro che era frutto di una cultura e di una tradizione oggi questo non esiste più però esiste la definizione esatta di quello che potrebbe essere il ruolo delle le arti visive tradizionali, quindi fatte con il pennello sia pure nelle forme più progredite, più moderne, il termine moderne, non mi piace moderne, comunque con strutture di linguaggio che non siano quelle tradizionali. Rimane però la contraddizione di una cultura studiata come se nulla fosse cambiato, ecco perché mi sento di volta in volta di dover intervenire in settori che non siano solo quelli del campo pittorico.

Infatti il prof. Mazzariol ricordava come io, in qualche misura, sono fuori da quello che è la vita culturale, cittadina, per quello che è la conoscenza tra di voi. Io sento la necessità di non impegnarmi in un dibattito che per me è sterile se non fa parte di meccanismi sociali e politici che in qualche modo invece mi riportano a cogliere delle esperienze al di fuori del nostro mondo. Per me il nostro mondo è molto chiuso, limitato. E limitato per una serie di questioni che si legano a come si è andato evolvendo il mondo delle arti visive, il meccanismo della critica che ha perso e poi riconquistato delle posizioni, pagando pegno duramente artisti e critici per cui io ho passato parecchio tempo facendo tutto da solo: quadri, presentazione tutto ma non perché pensavo che il critico non fosse capace di fare il suo lavoro ma perché, mi sembrava, e in qualche modo credo che i fatti mi diano ragione, che la critica andasse piuttosto ad una stabilizzazione del suo ruolo, e che quindi vivesse anche la critica una sua crisi di identità quindi non in modo strumentale ma proprio per l'esigenza a sopravvivere rispetto ad un elemento come la pittura che la società andava sempre più relegando ad un elemento tutto di parte, particolare, se pensiamo l'effetto che produce sulla possibilità di essere conosciuti del mercato e quindi entrare in un certo meccanismo produce degli effetti che alla lunga possono essere positivi o negativi secondo la qualità ma che comunque sono indispensabili per entrare nel meccanismo della conoscenza.A me è piaciuto molto che il prof. Mazzariol abbia ricordato i miei trascorsi in cui ci si conosceva solo per rapporti di pittura cioè di oggetti per cui l'oggetto veniva identificato per chi doveva farlo e da chi aveva la competenza e la sensibilità di farlo ma per tutto il resto, cioè per quella che è quella macchina, che in qualche modo è arrivata per lunghi anni a soffocare, io credo, la possibilità di conoscere e far conoscere realmente l'opera d'arte in quanto tale e non in quanto prodotto di mercato commerciale ecco io lo vedo ancora come un qualche cosa che dimostra che quella scelta c'è stata.
Io ho visto nello studio quando sono venuti a trovarmi e ringrazio le gradite ospiti, erano moltissime, la mia casa è piccolissima invece eravamo quasi tutti dentro a una stanza, e ho cercato di essere liberatorio nel modo di esporre: abbiamo parlato poco di pittura e di più del perché si produce pittura. Piuttosto di andare avanti a narrare io di cose di pittura, anche perché sarei abbastanza settoriale nel modo di vedere, come dicevo prima, preferirei vedere se era possibile da quello che è stato colto averne delle domande in modo che il problema venga immediatamente posto a conoscenza di tutti anche quelli che non c'erano; una cosa che rifiuto subito anche prima mi è stato fatto un commento da una studentessa, di questo paura e dell'impressione che le mie opere suscitano. Inviterei ad essere meno emotivi e più razionali nella valutazione di tutto ciò che ci circonda perché in realtà quello che ci circonda è sempre se è reale carico di effetto tanto da interessare,. Una delle domande che ci ponevamo e si analizzava insieme le cose che presentavo alle signore che erano presenti, era proprio questo: perché il primo impatto deve essere definito così angosciante. Io non sento che le opere che presento sono angoscianti, non sento che le opere che presento hanno un contenuto formale più che sostanziale che non possa essere accettato e capito come comune e normale, mentre si accetta francamente con molta naturalezza tutta una serie di notizie per esempio alla televisione di tutti i tipi, le più tragiche le più drammatiche magari continuando a mangiare; evidentemente esiste una assuefazione al modo di percepire l'immagine o la parola, pensiamo ai fatti ultimi della Palestina, ma anche ai semplici incidenti stradali che vengono accolti come una notizia normale. E invece quella che è l'elaborazione raffinata e cioè l'attenzione che è propria dell'arte visiva tattica cioè la riflessione in quel momento, io mi immagino come un'azione che si blocchi in quel momento e in quel momento scatta la capacità che ha luomo di dirsi la verità. Ecco il sugo di quello che intendo fare è proprio questo. Cioè cogliere un momento di un'azione scenica, mobile, ecco per esempio la televisione che per me è una delle fonti di maggiore ispirazione, è bloccarla nel momento in cui la coscienza percepisce il senso della tragedia, ma questo non può essere secondo me angosciante è rilevatore delle proprie debolezze, della propria incapacità a definire il ruolo che ognuno di noi ha rispetto alla società, è un'accusa alla incapacità di essere solidali di essere attenti. Il mezzo per esempio che adopero, ho portato solo alcune cose e delle più piccole, perché io vado dal molto molto piccolo al molto grande, dai 6mtx9, probabilmente è una necessità di misurarmi nelle due maniera, cioè il rapporto per quello che ti sovrasta e il rapporto per quello che domini, ma in genere il procedimento che uso da diverso tempo è una fotocopia ingrandita o diminuita di tutte le misure ma sempre quella, non dipingo più l'oggetto proprio per non perdere tempo a raccontare come diceva il prof Mazzariol prima, non serve più raccontare per cui va dipinto l'oggetto perché venga riconosciuto nella forma e che tu vuoi dare, io voglio dare solo il momento per cui la stessa forma ripetuta per 15, 16, 18 volte, una delle ultime mostre che ho fatto è stata lo stesso soggetto ripetuto fino all'infinito, che non ha niente a che vedere con quella che è la ripetitività di Harold e della pop-arte, ma mi serve perché lì intervengo per far capire come lo stesso fenomeno, lo stesso atto, lo stesso meccanismo nel momento in cui io intervengo produce un effetto. Un ultima osservazione su questo per poi avere delle domande: il procedimento che mi spinge è quello di avere dagli altri lo stimolo; se io non trovo qualche cosa che mi dice, qualcosa, che mi comunica qualcosa io non sono capace di intervenire, voglio dire uno dei grandi difetti dell'artista è di inventare qualcosa e proporla agli altri io voglio che siano gli altri che mi diano qualcosa per cui dopo io prendo fiducia e spiego loro delle cose, è un procedimento di gratificazione di riconoscimento più esattamente che io faccio nei confronti delle altre persone e degli altri avvenimenti. Un avvenimento mi urla qualcosa mi dice qualche cosa mi racconta qualcosa quindi mi chiede qualcosa. Mi si presenta chiede se si può dire, se non è una forzatura e mi chiede aiuto. Un avvenimento lo colgo lo prendo sul serio, lo riconosco e dunque intervengo. Per me è come un rapporto fra due persone che si aprono e comunicano tra di loro. Ecco perché l'oggetto è sempre ripetuto ma se guardate loggetto non è mai uguale perché l'intervento su ciascuno di noi dello stesso intervento produce effetti differenti.

Ultimissima notazione di stampo tecnico sempre credo, e il prof. Mazzariol potrà dirlo meglio, si può vedere nelle mie opere anche le più crudeli una raffinatezza di costruzione io non accetto il giudizio di espressionismo, per esempio, l'espressionismo è una pittura immediata che produce lo sfogo dell'oggetto per cui quanto più crudele quanto più rozzo quanto più immediato è tanto più produce l'effetto la mia è un'opera estremamente raffinata cioè io arrivo a produrre l'oggetto per cui alla fine deve essere un bel prodotto. Questa evidentemente è una forte contraddizione che io non mi spiego non lo faccio volontariamente, esiste, e quindi questo è un elemento su cui io non riesco a dare una risposta chiara, probabilmente la risposta è la stessa per qui quanto più gli argomenti sono tesi pieni di angoscia tanto più io non riesco nella vita privata essere ne angosciato ne teso. Probabilmente questa è la contraddizione la incapacità di trasformarmi in qualche cosa che sia visto dal di fuori un prodotto drammatico. Non credo in altre parole che lartista sia un disperato, un angosciato, un pazzo. Ne conosco tantissimi per il lavoro che faccio al di fuori della pittura di queste persone, sono persone normalissime, cioè i pazzi i drogati gli angosciati, non sono artisti sono persone normalissime. La tragedia nell'uomo è normale mentre l'artista a mio modo di vedere non è normale nel senso che è più intelligente della norma, una delle cose che insegno ai miei scolari è che un artista deve essere colto e intelligente altrimenti non potrà mai essere artista; potrà fare oggetti di un certo valore ma, questa è la mia filosofia.
Mi fermo qui e aspetto vostre domande.
E' in atto uno scontro generazionale e riguarda ovviamente anche il perché della pittura.

... oggi la pittura obiettivamente non rende un servizio sociale, questo era il punto di partenza mentre altri linguaggi per questa società rendono un servizio sociale e quando dico un servizio sociale voglio dire che coinvolgono la stragrande maggioranza della società di cui noi facciamo parte, io non voglio, mi rifiuto di non far parte della società in cui il caso mi ha posto.
L'esempio che veniva fatto del bambino secondo me è proprio calzante in senso contrario perché questa società si pone proprio il problema del perché sta invecchiando e quindi se lo stesso tema lo vediamo in maniera differente vediamo che questo esempio ci dice che questa società rifiuta i bambini, cioè rifiuta una società giovane rispetto una società vecchia, parlo della civiltà occidentale ovviamente, perché questi ragionamenti non possono valere per tutte le civiltà e per tutti i tipi vale per i nostri ragionamenti costruiti con la nostra cultura. E questo pone proprio il problema del perché una parte della società così come oggi va costruendosi ha accettato il principio ineluttabile che il divenire sia vecchio e cioè sia la vecchiaia, infatti i grandi temi del dibattito oggi sono sulla vecchiaia, su una società che si costruisce in una maniera prima imprevista. Questo è il problema il vero problema di oggi e quindi la pittura rappresenta proprio questo tema è un qualche cosa che sopravvive...

...per esempio per quel che mi riguarda quando dicevo scontro generazionale io ho imparato a dipingere quando ero bambino non ho avuto una camera o una cinepresa ma io che a scuola che insegno ai ragazzi in un settore legato all'immagine dell'audio visivo e quindi delle rappresentazioni delle opere televisive il bambino di oggi usa altri linguaggi e qui non possiamo chiuderci in un ottica in cui no io faccio il pittore dunque sono, dunque sono nella misura in cui la società, nel limite in cui la società mi ha chiuso dentro una parentesi. Perché non credo che nessun artista possa eguagliare quello che era il ruolo sociale di un Michelangelo di un Tiziano rispetto alla società in cui viveva, era un altro ruolo; lo ricordavo nell'incontro, una cosa che mi ha colpito da ragazzo girando per i paesini della val di Sole e val di Non queste chiese abbandonate in mezzo ai monti con degli altari lignei scolpiti fino a 200 figure scolpite in oro, una cosa meravigliosa, perse per i monti allora quelle piccole società avevano bisogno di queste cosa. Ricordavo sempre l'altra volta che la maestà di Duccio di Boninsegna prima di essere pagata al committente tutto il popolo è passato per tre notti e tre giorni davanti all'opera e poi ha detto sì si paga. Questo si paga non è un qualcosa di venale è lo stesso motivo per cui un regista si paga tot dollari per fare un film, io mi auguro che almeno uno di voi riesca un domani ad avere un finanziamento da un ente pubblico o da una struttura privata per poter realizzare il proprio ciclo cioè il problema che io pongo è: perché io devo produrre oggetti che la società a meno che tu non sia un prodotto di mercato non accetta o se accetta è a livello culturale. La mia premessa era che di tutte le cose che diciamo la cosa che mi preme di più dire è di poter parlare di poter sapere che esiste una generazione come la vostra in questo caso che si occupa di arte contemporanea, non sottovaluterei le cose che ha detto il prof. Mazzariol sulla capacità del critico e dell'artista contemporaneo di conoscere il passato, so che molti miei colleghi mi hanno rimproverato questo mia amore per il passato collegato sempre al presente perché sembra che l'ispirazione deva venire, il legame deva avvenire solo con quello che è avvenuto ieri e questo lo stiamo pagando duramente...

Quindi quello che dicevamo sul legame e sul collegamento e sulla capacità di fare storia è giustissimo ma ricordati che queste cose che state dicendo voi sono assolutamente originali per la cultura che si è venuta creando negli anni '60 e '70 che diceva ben altro, ecco perché mi sento in qualche misura esterno e forzo a quella che è la costruzione della società come è andata oggi collegandosi per cui l'artista sta cercando disperatamente di recuperare mercato, di produrre le proprie opere che trovino spazio ma non nella logica che dicevo prima io per dare nuovi linguaggi, per esprimere nuove necessità per sentirsi utile non è questo che si sta producendo. Io sono stato leggero rispetto a quello che ha detto il prof. Mazzariol sulla crisi, in qualche modo queste cose le avevo capite da piccolo perché mi facevo da critico da solo proprio per evitare di entrare in una logica che già si capiva dove avrebbe portato. E quando dico che insisto in maniera forse anche esagerata e ci tengo a sottolinearlo perché le cose le riesco anche a capire da solo, però è bene i messaggi darli certe volte anche con alcune forzature perché siano capite quando dico che l'artista deve essere controllato deve essere intelligente deve essere colto perché io con i miei ragazzi quando li porto alla Guggheneim dopo un ciclo di anni su l'arte contemporanea amano Mondrian il grande dibattito che fanno i ragazzini dopo che li ho preparati su tutte le correnti dell'arte moderna parlano di Mondrian. Pensavo che fosse un caso, evidentemente non è un caso quindi il ragionamento sul razionale è molto più pagante per quella che è la capacità di conoscere la propria emozione ecco perché insisto sul fatto dell'artista non può essere visto fra di voi che farà critica come un qualche cosa che produce emotivamente. Michelangelo non ha prodotto emotivamente, c'è poco da Piero della Francesca raccontava della sua paura come matematico, Brunelleschi e Donatello erano uomini di grande cultura, non erano delle persone che si mettevano davanti al quadro con il fuoco sacro come le ultime propaggini romantiche ci hanno fatto capire.
Quindi il tema che a me interessava in questo caso viene un momento deviata la discussione perché si parla tra produttori di oggetti tra artisti è proprio essere sempre lucidi rispetto la condizione che si sta vivendo. Darsi un'etichetta che in qualche modo può essere identificata come un'ideologia che ci spinge è un tragico errore, è un errore che nel giro di pochi anni può portare a delle reazioni terribili. Ho conosciuto dei giovani artisti i quali mi dicono queste sono le cose che faccio io, poi queste le correggo un po perché queste hanno mercato. Ma come è possibile? Mi pare che un esercito simile... Io conosco un pittore veneziano che faceva venire un critico una volta la settimana il suo collezionista che gli diceva questo mi piace lo compro però qua è troppo giallo.

Ho assistito io a queste scene Io mi rifiuto di fare un ragionamento di questo genera, si potrà dire ma fa parte di una parte decadente della cultura, non fa parte di un costume questo è il punto che secondo me oggi mi pone in una situazione completamente differente rispetto a molti colleghi io apprezzo moltissimo, ad esempio, un'artista che non ha niente a che vedere con me che è Guido Sartorelli perché persegue con lucidità le cose che lui fa poi ha degli sbandamenti, delle incertezze perché poi lo si vede che discutendo non sa più neanche lui chi ha torto o ragione però è lucido nelle cose che pone, ha una visione della società che comunque mi fa capire che è una persona che sta dando un contributo all'evoluzione culturale della società a cui appartiene cosa che non posso dire di molti altri colleghi.
In genere non faccio mostre di quadri. Individuo un soggetto, un tema e lo sviluppo.

La mostra presentata al museo di arte contemporanea di Ferrara: Sadici Sovvertimenti si compone di un centinaio di opere e parte da una premessa legata al tema della violenza in De Sade: le 120 giornate di Sodoma e quindi il concetto del potere, di come agisce il potere e quali sono gli effetti del potere.
Per toccare solo il tema pittorico si può notare che i soggetti sono di tutti i tipi, qualsiasi cosa io trovi che mi interessa per strada, sul tavolo, per terra diventa oggetto di intervento perché vuol dire che quella cosa mi ha chiamato, mi ha chiesto qualcosa e io gli do la risposta. Si apre un dialogo fra pezzi di carta, fotografie, scoth in cui si legano tutti questi elementi, l'insieme mi sfugge completamente, non so dare un giudizio non so il perché, non riesco a definire il senso del segno. Tutto nasce e viene disposto l'unica cosa di cui sono convinto è che io quando costruisco oggetti non sto lavorando. Io ho già lavorato prima. Infatti quando mi occupo di altre cose -insegnare, fare politica - penso, penso, penso e ad un certo momento le metto giù.
La fase in cui viene eseguito l'oggetto non è la fase artistica. Quella è la fase in cui io devo testimoniare che ho prodotto tutto un processo culturale, chimico, sociale che si conclude in quel momento. Il momento in cui l'oggetto è costruito non mi interessa più. L'oggetto è finito, posso discutere di oggetti ma lui è finito, non mi da più nessunissima emozione.

Mazzariol: nel fare l'oggetto c'è il momento del controllo...

...è solo controllo. Gli Oggetti di questa mostra ( sempre Sadici Sovvertimenti) li faccio in pochissimi minuti, uno dietro l'altro, lavoro con 8, 20 pezzi tutti insieme fino alla fine dell'oggetto. Uno sa che non è finito e poi cè il momento che è finito. Da momento in cui dico è bello, mi piace, l'oggetto stai lì, basta! per me potrebbe andare con le sue gambette in giro per il mondo, non mi interessa più. Il difetto di questo è che quando uno costruisce una mostra, in questo caso sono 100 pezzi, se ne tolgo qualcuno non succede niente, nessuno se ne accorge, ma nella mia logica si...
Studente: perché nelle sue opere ci sono pezzi di scritti suoi o di altri...

...sono condizionamenti legati all'epoca, al momento
in questo caso (sempre Sadici Sovvertimenti) i pezzi scritti erano legati al tema che avevo scelto che era lo sviluppo del potere attraverso tutta una serie di schemi che ho costruito quindi uno degli elementi che determina la costruzione del potere è produrre dolore, quando l'uomo comincia a soffrire la società comincia a costruire il suo potere. Quando l'uomo comincia a rifiutare dio la società comincia a costruire il suo potere. Per dio intendo un potere extra umano, che è sopra all'uomo. Quando l'uomo ha paura la società comincia a costruire il suo potere. Gli scritti sono messaggi, quando l'immagine è conclusa il messaggio è aggiuntivo per far capire che comunque quello che voglio fare non è un oggetto ma è una comunicazione. Nel catalogo ci sono una serie di brani tratti da De Sade, di poesie, interventi diversi. Non ho limiti di linguaggio anche quando faccio cose molto grandi uso legni, stoffe, carte, scritture, non c'è una adesione ad una estetica o ad un filone particolare. Qualunque cosa raccolgo per strada che mi possa servire è necessaria all'oggetto che viene prodotto. Nel caso dove il messaggio dice paura o solo me quello è un messaggio lanciato in un momento in cui la partita si sta chiudendo cioè io che lavoro in politica sono convinto che qualsiasi partito politico qualsiasi meccanismo nel momento che comincia a produrre effetti per la società produce soltanto un meccanismo di castrazione, di condizionamento, di limite e quindi è un'altra contraddizione che mi piace vivere. Da un lato produrre l'effetto negativo che
Studente: sull'oggetto che sceglie lei interviene in modo tutto suo come a corruzione dell'oggetto, un intervento per indurre l'oggetto a dire qualcosa di diverso da quello che voleva dire l'oggetto stesso...

...Rispondo si. Quando dico che l'oggetto mi lancia un messaggio è un po come i rapporti fra le persone, uno conosce una persona è simpatica, attrae ti lancia un messaggio. In questo mi sento artista, mi piace intervenire e rovinare quel messaggio con la mia personalità con la mia capacità di intervento e quindi produrre un effetto. L'effetto può essere devastante, entusiasmante, deprimente, è come un rapporto tra due persone, in questo caso tra un oggetto e me. Ma stiamo molto attenti, non guardatemi solo come colui che prevarica perché per primo ha cominciato lui, perché se lui mi lasciava in pace, se lui non si poneva davanti a me e non si faceva riconoscere, lui avrebbe potuto restare un pezzetto di carta nel cestino, un pezzo di scotch ecc. il messaggio, se mi è concesso di usare questa parola, è che io voglio dare molta importanza a quello che ci circonda e penso sia di grandissima utilità. Non c'è bisogno di andare a cercare chissà dove basta guardare, stare attenti alle persone e alle cose che ci circondano e immediatamente si affina una capacità di voler creare questo rapporto. Concluso il rapporto rimane in sé l'oggetto rapporto. Io probabilmente ho altre curiosità.
Studente: non le interessa fingere la realtà cioè la mimesi e quindi anche la pittura in senso tradizionale e dunque mettersi in ascolto della realtà ed usare l'oggetto per...

...infatti e questo l'ho capito dopo che per anni ho sostenuto la necessità della mimesi mi sono letto tutto Lenin e tutta la teoria del realismo socialista per capire sta mimesi e dopo quando l'ho capita finalmente l'ho messa in un cassetto.
Il problema della composizione o viene o non viene, non so dare una spiegazione migliore, perché ho acquisito in anni e anni, il prof. Mazzariol si ricorderà delle mie prime opere, costruivo le mie opere alla Mondrian, anche se non sono figurative, spostavo di un millimetro una testa un piede, un ginocchio, una pietra finché l'opera fosse perfettamente equilibrata evidentemente questo grosso lavoro che dava alle mie opere questo senso di monumentale, di costruito, mi è rimasto nel sangue e oggi riesco a produrre composizione senza dover appunto andare alla ricerca di questi equilibri che certe volte diventano faticosi ed anzi estenuanti per loro.
(Mostrando una diapositiva di sperma da S.S.)

Questi sono dei pezzettini di carta presi da un cestino e messi in un sacchettino di plastica, il significato perché è nata l'idea di questo sperma, che fa parte anche questo del meccanismo della storia sul racconto di De Sade perché è la capacità di produrre che viene impedita, in questo caso viene sigillato dentro un sacchettino e quindi non è più produttivo. E uno dei miei elementi della costruzione del potere, dare all'uomo la possibilità di creare e poi metterlo in una bacheca, in una struttura in cui non possa più produrre nulla.
(Mostrando una diapositiva di sole)

...questa che vediamo è una fotocopia su cui intervengo, il soggetto non ha bisogno di commenti, non mi sembra drammatica, chiedo scusa ma insisto, secondo me è pieno di sole di luce di voglia di produrre calore che poi sia impiccato non credo che solo perché uno è impiccato non abbia più diritto di fare delle comunicazioni perché allora escluderemmo tutte le persone che per la loro natura, perché si presentano male non hanno più diritto ad esprimere lo stesso il piacere di vivere infatti si chiama sole questo.
Forse è una contraddizione ma credo che la contraddizione debba essere alla base di ogni ragionamento artistico e anche politico.
Questo è un tema molto più grande, anche in questo caso la mia preoccupazione di creare questa specie di colpo di calore, questo rosso che spalanca che si apre. Non mi pare che dia l'idea del bue macellato di Satin, secondo me è molto arioso molto pieno di luce, in basso cè questa distesa, chi ha visto il mio catalogo c'è un opera di 5mx3 costruita prendendo un frammento di pochi centimetri ingrandito e riprodotto all'infinito per dare l'idea di questa distesa di morti, erano un po di ebrei tirati fuori dai forni crematori, sì il tema non è dei più esilaranti... questo paesaggio con questa nebbia che copre questa distesa di corpi a me sembra che sia struggente ma non tragico angosciante non lo so...
Studente: quello che hai rappresentato come un campo di sterminio è terribile o no? La realtà in sé è terribile, perché rappresentata diventa non più terribile?

Per lo stesso motivo per cui tu ci convivi... la morte in sé è o non è terribile? Non lo so, la morte per me fa parte della vita, la morte non è qualcosa che viene dopo, lo star male non è qualcosa che viene oltre lo star bene, fa parte della vita. Allora se fa parte della vita, la vita in sé è uno star bene e uno star male, dunque la morte e quel senso di tragedia non può diventare il soggetto di tutta la mia vita, è un elemento un frammento della mia vita, non posso farmi condizionare, ma questo avviene perché se tu vivendo vedi un uomo per strada che muore tu gli corri dietro cerchi di aiutarlo, ma se ne vedi due e poi ne vedi tre e poi vedi una fucilazione e poi ne vedi 50, 200, 600 come la notizia che ascolti alla televisione di un aereo che cade: morti 500 oh poveretti! Ha lo stesso impatto della notizia della morte di un solo bambino.
Studente: secondo me c'è una spiegazione a questo: il discorso è che l'informazione, il messaggio televisivo che oggi ci vengono proposti dai mas media supera il limite del lecito e diventa violenza nel senso che non è più assimilabile ed è per quello che ci appiattiamo di fronte a certe notizie. Di fronte all'arte forse ci si ponte in modo diverso, è in questo forse la sua utilità, è per questo che di fronte all'arte ci appare terribile quello che attraverso la televisione non ci sembra tale...

...mi va bene che mi diciate queste cose perché la voglia di combattere, di avere delle sofferenze e delle soddisfazioni, cioè la voglia di costruire in positivo c'è, cioè che le nuove generazioni, il nuovo modo di sentire è proiettato a costruire perché quando voi rivendicate, mi pare questa posizione non sia solo di uno, se non ho capito male, se c'è questa tensione vuol dire che quello che dico io, lui diceva ambiguo, io potrei dire in modo peggiorativo decadente che poi in realtà non è decadente cioè quando cerco e dico il pezzetto di carta con il messaggio scritto io ho una coscienza rispetto all'esperienza che ho fatto di vita: di artista, di uomo, di uomo politico, non ho più molte illusioni, non ne ho, nel momento che ti scrivo il messaggio vuol dire che voglio sapere da parte tua se il mondo che viene dopo di me può darmi delle speranze, se no non manderei neanche il messaggio. Quando ti dico che il senso della tragedia comunque pretendo che venga reso più dolce vuol dire che spero che questa tragedia non sia il simbolo di tutte le generazioni che verranno dopo. Io non sono ancora convinto che la vostra preoccupazione di essere forti, sanguigni e quindi angosciati sia quello che sto dicendo e cioè un segno positivo, io mi auguro di sbagliarmi, lo colgo come un elemento.

Ma da come stanno andando le cose rispetto alle arti, il fatto che l'uomo comunque mangia, beve dorme da sempre, da sempre, io credo che il messaggio che io riesco a darvi è un messaggio disperato ma è una disperazione che non può essere di autocompiacimento, ecco ciò che voglio evitare nel quadro è l'autocompiacimento Satin mi piaceva tantissimo, gli espressionisti mi piacevano tantissimo ma poi li ho rifiutati tutti perché erano io grido, io urlo e dopo? La mostra di Munch è stata una grandissima delusione quando l'ho visto dal vero a Milano, mi ha creato tutto un procedimento culturale, interiore, umano, che ancora oggi non riesco ad assorbire, cioè è quello che non voglio fare. Non voglio schoccare non voglio colpire, proprio perché hai detto una cosa giustissima, perché nel momento in cui tu vedi sangue, donne divaricate, impiccati, non voglio suscitare in te quello che accade alla televisione il messaggio di assuefazione e quindi di ripulsa, voglio essere voglio che comunque dentro ci sia questo senso di disperazione ma non di distruzione. Non so se il ragionamento può essere comprensibile, penso di si; accettabile poi è questione personale...

...Questo un esempio tipico del concetto di violenza sulla donna però a me quello che interessa più di tutto, ecco perché insisto, è la pittura a me interessa quel grigio sul rosso, quel giallo che si trasforma con tutti questi fili, che poi il messaggio sia un cancro che ti divora, perché il messaggio è questo. Lo vedo anch'io questo però vorrei anche invitarvi: si guardate il cancro che la divora però guardate anche questo grigio, questo rosso...

...Questo è un cavallo spagnolo, anche qui ci sono questi elementi del 1300, che viene usato per la settimana santa su cui io intervengo, anche qui non ci sono morti ma credo che il senso della tragedia, del cavallo, della guerra questo fa parte della serie del wargame , cioè unire le due parole gioco e guerra quando per gioco si intende infanzia e guerra si intende morte, cioè questo grande cavaliere morto...

...qui l'accostamento è evidente questo grande giocattolo che trascina il treno di prigionieri ebrei, ma quello che mi piace è questo gioco di chiari e scuri, questi fili spinati, un gioco da pittore.
Studente: io non capisco, vedo confusione fra i termini come si pone di fronte al messaggio e poi a un certo tipo di creazione di chiaro scuri...

...Io accetto il concetto del tutto e il contrario di tutto. Che mi pare sia quello che sostanzialmente contestate ed è invece quello che m appassiona di più. E' vero che io certe volte sottolineo di più un aspetto e immediatamente dopo lo contraddico e dico il contrario. Io credo che su Michelangelo rispetto a questo sono stati scritti volumi. Sulla possibilità di scrivere solo sul messaggio o piuttosto sull'immagine. Basta pensare ai Prigioni che li puoi vedere sia come messaggio e quindi tutto il ragionamento che li produce sia come elemento invece di costruzione estetica. Se tu pensi tutta l'arte del trecento costruita su una filosofia scritta a priori perché poi l'oggetto doveva diventare oggetto di produzione di conoscenza per cui determinate cose avevano tutta una filosofia uguale per tutti. La Divina Commedia costruita su una estetica che era uguale perché di divina commedia non ce ne era una sola., ce n'è tantissime e tutte hanno quello schema.
Volendo noi dovremo aprire e qui abbiamo il prof. Mazzariol che potrebbe aprire una discussione su queste cose che per me sono molto interessanti cioè su come non esiste un modo di fare pittura o di fare arte, a seconda le epoche i tempi i momenti, le necessità ci sono state delle regole e queste regole hanno prodotto l'oggetto. E c'è tutto e il contrario di tutto e io difendo questa tesi perché Rembrandt non è mai andato via di casa sua, mai eppure a fatto un'arte che esce da ogni schema locale. Eppure si dice che la gente deve leggere, uscire, viaggiare conoscere allora come mai Rembrandt ha conosciuto, visto e prodotto senza muoversi mai dal suo paesello? Quindi non c'è una legge, una regola. Queste sono le mie leggi, le mie regole. Non sono venuto qua ad insegnarvi cosa dovete fare. In questo caso credo che ci sia stata, non so se è accaduto anche altre volte, una leggera deviazione rispetto al fatto che gli artisti quando intervengono hanno sempre un punto di vista, infatti è venuto fuori il suo punto di vista e il suo punto di vista, il mio punto di vista. Mentre chi studia le cose cerca più di interessarsi del punto di vista di chi produce loggetto, c'è anche questa contraddizione che non può essere sottaciuta. Io lo dico per me ma penso più per voi è stato molto educativo il fatto di cogliere quale scontro può esserci fra la critica e l'artista, cioè l'artista in sé quando pone delle idee è sicurissimo di sé è così sicuro da prendere anche delle cantonate terrificanti e sono quelle cantonate che gli permettono di essere originale però, di essere completamente differente da tutti gli altri. Ecco perché l'omogeneizzazione di un ragionamento spesso può produrre solo una scuola, cosa che io rimprovero ai miei grandi maestri, le mie polemiche con certi grandi maestri che questi ragazzi vengono fuori tutti uguali e si vede che vengono fuori da quel maestro. Se voi rifiutate questo, secondo me siete su una posizione molto giusta, molto costruttiva, molto creativa. Però la funzione delle cose che si dicevano è rispetto la posizione di chi domani dovrà fare critica di dire, di capire, di entrare nella logica dell'artista, più disponibilità c'è a capire che non c'è un metodo ma esistono dei modi differenti di produrre l'oggetto per cui tutte queste contraddizioni producono questi oggetti, altre contraddizioni producono altri oggetti.
Studente: tra l'artista e l'opera dovrebbe esserci un rapporto molto forte, invece lei prima parlava delle sue opere con un distacco incredibile, non capisco questo poco amore, poco sentito come lavoro...

...può darsi che io menta, per esempio, potrebbe essere. Può darsi che io voglia conservare tutte le mie energie per produrre altri oggetti, io non mi voglio innamorare dell'oggetto perché odio l'artista che riproduce sempre la stessa cosa. Metti i grandi artisti di grande fama che passano 60 anni della loro esistenza innamorati del loro oggetto a riprodurlo sempre, girandolo e rigirandolo, quel tipo di artista, non entro nel merito se lo è o meno, lo riconosco come artista, ma quel modo di produrre non mi piace, mi fa paura, perché allora venderei scarpe, farei meglio e più soldi probabilmente.
Per me produrre l'oggetto è continuamente sapere che sto ritornando a vivere, che sto scoprendo cose nuove, che oggi sto esplorando il Canada e domani sono nell'Africa Orientale.

Studente: ma le da gioia questo?

...non credo che dia gioia a nessuno vedere che stai invecchiando, che hai sempre meno energie, meno tensioni, sempre più paure, sempre più incertezze perché tu vedi che il regista Y riesce ad avere un tema che a me costa moltissimo vedo in certe parti di Mestre, ad esempio, che potrebbero essere affrescate da 10 di voi per cui il comune potrebbe darvi 2 miliardi e affrescare Mestre, no si danno 40 miliardi per fare boiate pazzesche, ad un certo momento questa voglia di fare, queste contraddizioni che tu senti, questa capacità, questa lucidità di poter produrre e invece vedi che la struttura sociale a cui appartieni non te lo riconosce, perché mi dovrebbe dare gioia. Allora ecco che il lavoro diventa sempre più una ricerca come cercare la pietra filosofale. Anche perché non credo che ci sia un piacere finale. Diciamo pure che questo è il mio carattere, non credo sia una lezione per tutti, è il mio carattere, il mio modo di vedere la vita priva di valori che in qualche modo possono essere stabilizzati. Io ho cambiato casa 26 volte, cioè non riesco a provare il piacere di costruire delle cose che possono produrre sempre lo stesso prodotto.

Il fatto che voi parliate sempre comunque da un lato di dover avere gioia nel fare le cose dall'altro assumervi la responsabilità che vi sia dietro una tragedia nelle cose non è in contraddizione anche se lo pare. E il vostro modo di vedere. Io sarò diventato vecchio troppo rapidamente mentre altre persone che sono più anziane di me sono più giovani, ma io sento fortissima lo scontro generazionale. Il cambiare della società, la vedo talmente diversa dai miei tempi dal mio modo di pensare. Con questo non voglio dire che io ho ragione e i giovani hanno torto, anzi, chi mi conosce sa che dico proprio il contrario, la mia attenzione è proprio di vedere che cosa fanno queste nuove generazioni perché comunque hanno ragione, qualunque cosa dicano, anche qualunque boiata dicano, anche se dicono delle cose per me inaccettabili hanno ragione ma perché hanno l'energia di produrle quelle cose che dicono, hanno la possibilità di realizzarle, e quindi anche nel campo delle arti visive, che è un settore molto limitato di questo scontro, ecco perché io perdo ancora tanta parte del mio tempo in politica, perché lavorare solo nella pittura è lavorare in un mondo piccolo.
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